10. Il formato

10. The format

10. Il formato

Foto non fatta.

Stampare una fotografia in un formato anziché in un altro vuol dire […] aggiungere qualche cosa a questa immagine, cioè non è indifferente che una foto sia stampata molto piccola o media o molto grande; le ragioni per le quali il fotografo sceglie questo formato sono spesso delle ragioni molto personali, io ho sempre amato i formati 30×40, un po’ grandine come formato base; ho visto invece che i fotografi americani più sofisticati usano formati piccoli che di solito vanno dal 13×18 al 18×24. I vecchi fotografi, perché stampavano le loro lastre a contatto, al massimo avevano formati diciamo credo 24×30 o 18×24 e i giovani fotografi che lavorano con le macchine di piccolo formato credo che non vogliano ingrandire troppo le loro foto per non enfatizzarle e anche per non far perdere compattezza alla materia e quindi evitare la grana e tutto quello che la grana comporta di gioco o di trucco, di decorativo, ecc. Ho così pensato a un’immagine che potesse rendere un po’ l’idea di che cosa è questo formato; la cosa più elementare sarebbe quella di prendere una testa, partire dalla fototessera e ingrandirla fino a 50×60, ma sarebbe banale. Non lo so perché, in fondo da una idea banale si può arrivare a un risultato niente affatto banale, ma volevo che protagonista fosse il formato, non la fotografia; cioè in questo caso sarebbe stata la testa protagonista dell’operazione, invece io volevo che fosse chiaramente il formato; cioè in questo modo ho pensato di prendere la fotografia di uno di questi edifici moderni che sono come degli alveari dove le finestre sono una accanto all’altra divise da un leggero riquadro di cemento e non c’è nessuna variazione architettonica tra un elemento e l’altro: sono proprio degli autentici multipli, il multiplo di una finestra; tra una finestra e tutto l’edificio cambia soltanto il formato, cioè l’edificio è il risultato del formato di questa finestra moltiplicato per 100, 200, 1000 volte a seconda dei piani, della grandezza dell’edificio. Allora la fotografia di questa casa ho cominciato a ingrandirla sul massimo formato cioè sul 50×60, facendo in modo che non si vedesse né da dove la casa partiva né dove la casa finiva, né i due lati, cioè si vedessero soltanto finestre e basta, come un muro di finestre, insomma, in modo che si potesse pensare che questo formato potrebbe continuare all’infinito. Poi, senza mai abbassare l’ingranditore, cioè tenendo l’immagine sempre nella stessa grandezza ho cominciato a mettere le carte più piccole che sono in commercio, 40×50, 30×40, 24×30, 18×24, 13×18, formato cartolina, formato tessera, e quello che cambia è soltanto

il numero delle finestre, ma c’è un elemento che è sempre costante, che è il modulo costruttivo dell’immagine cioè la finestra: cioè l’unica cosa che cambia è il formato; non so se questa sia un’operazione molto chiara e non vedo fino a che punto, però l’immagine quando mi si è presentata mi è molto piaciuta, soprattutto mi è piaciuta l’idea di mettere queste fotografie una attaccata all’altra in scala, formare questo strano oggetto.

[…] Poi soprattutto un’altra cosa, può darsi che il formato abbia un suo senso proprio in questo, che la quantità a un certo punto diventi qualità; questa è una ormai ben conosciuta regola mi pare della teoria marxista cioè il cosiddetto salto qualitativo: cioè due operai sono una cosa molto diversa da 100.000 operai, sono sempre operai, uno per uno valgono lo stesso, però, messi insieme, diventano un’altra cosa non soltanto perché acquistano forza fisica, perché acquistano anche esperienza, cioè, voglio dire, ecco che cosa può essere il formato, questo aumentare della quantità che, a un certo punto, può portare al famoso salto della qualità. Va bene, diciamo, la cosa non cambia però un conto è avere a disposizione 10 vani e un conto è averne a disposizione 10.000, anche se le finestre sono tutte uguali.

Ugo Mulas. Immagini e testi, a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Università di Parma, Parma 1973