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L'ATTESA

Di Lucio Fontana ero amico, come lo eravamo tutti, qui a Milano, uno dei tanti suoi amici. Tranne alcuni servizi per le Biennali, ho lavorato per lui sempre senza che me lo chiedesse: quando mi veniva voglia di vedere cosa combinava davo un colpo di telefono, arrivavo con la mia macchina, senza cavalletto, senza fari, cosa che non rendeva complicata la faccenda, e fotografavo. Di tutte le fotografie, soltanto una serie – praticamente fatta nel giro di una mezz’ora – ha un senso preciso. Fino a quel momento l’avevo fotografato e basta, ora volevo finalmente riuscire a capire che cosa facesse. Forse fu la presenza di un quadro bianco, grande, con un solo taglio, appena finito. Quel quadro mi fece capire che l’operazione mentale di Fontana (che si risolveva praticamente in un attimo, nel gesto di tagliare la tela) era assai più complessa e il gesto conclusivo non la rivelava che in parte. Vedendo un quadro di buchi, o un quadro di tagli, è facile immaginare Fontana mentre fa il taglio con una lama o i buchi con un punteruolo, ma questo non lascia comprendere l’operazione che è più precisa e non è solo un’operazione, ma un momento particolare, un momento che capivo di dover fotografare. Pensavo di riprenderlo mentre lavorava, ma Fontana non volle, e me ne spiegò la ragione: «Se mi riprendi mentre faccio un quadro di buchi dopo un po’ non avverto più la tua presenza e il mio lavoro procede tranquillo, ma non potrei fare uno di questi grandi tagli mentre qualcuno si muove intorno a me. Sento che se faccio un taglio, così, tanto per far la foto, sicuramente non viene … magari, potrebbe anche riuscire, ma non mi va di fare questa cosa alla presenza di un fotografo, o di chiunque altro. Ho bisogno di molta concentrazione. Cioè non è che entro in studio, mi levo la giacca, e trac! faccio tre o quattro tagli. No, a volte, la tela, la lascio lì appesa per delle settimane prima di essere sicuro di cosa ne farò, e solo quando mi sento sicuro, parto, ed è raro che sciupi una tela; devo proprio sentirmi in forma per fare queste cose». Forse non ho riferito nei termini precisi le parole di Fontana e forse avrò aggiunto del mio, perché è passato tanto tempo ma fu allora che capii come il momento preparatorio, quello che precede il taglio, era il più importante, quello decisivo. Allora ho pregato Fontana di fingere di fare dei tagli. Così abbiamo messo una tela nuova sulla parete, e Lucio si è comportato come quando aspetta di fare un taglio, col suo stanley in mano, appoggiato alla tela, in alto come se il lavoro iniziasse in quell’attimo: lo si vede di spalle, si vede una tela dove non c’è ancora niente, c’è soltanto una tela e lui nell’atteggiamento di chi comincia a lavorarci sopra. E il momento in cui il taglio non è ancora cominciato e l’elaborazione concettuale è invece già tutta chiarita. Cioè quando vengono a incontrarsi i due aspetti della operazione: il momento concettuale che precede l’azione, perché quando Fontana decide di partire ha già l’idea dell’opera, e l’aspetto esecutivo, della realizzazione dell’idea. Forse proprio per questa concentrazione e aspettativa concettuale Fontana ha chiamato i suoi quadri di tagli «Attese». Fatta questa foto abbiamo tolto la tela e sostituito con un quadro finito fatto d’un solo grande taglio. Fontana ha messo la mano nel punto terminale del taglio, e in una delle foto che ho fatto la mano di Fontana è mossa, come se avesse proprio in quel momento completato la corsa: non si capisce che quella è una foto fatta apposta, dove il taglio preesiste.

L’ ATTESA – Lucio Fontana –  da “La Fotografia” (Fotografie e testi di Ugo Mulas-Giulio Einaudi Editore, Torino 1973